CAPITOLO 4
La sveglia, impostata come sempre sul cellulare, suonò puntualmente alle sei e trenta, riportando il commissario alla realtà, dopo una notte di sonno ristoratore.
Si fece la doccia, si rasò, si vestì con abiti sportivi e scese nella sala ristorante della pensione per fare colazione.
Il commissario, sempre attento alla tavola, aveva un solo punto debole: amava concedersi tutto il tempo necessario per una buona colazione, che di solito iniziava con un caffè, per poi proseguire con un cappuccino ed un croissant. La pensione forniva dolci freschi tutti i giorni, magistralmente preparati dalla cuoca Tiziana, la figlia della signora Rosa.
Il commissario sorseggiò il caffè, quindi prese una fetta di torta di fragole e si dedicò alla lettura del giornale, cosa che faceva tutte le mattine.
Sorvolò sulla cronaca locale, per poi passare alle pagine nazionali. Notizie di economia e di politica, la crisi che attanagliava il Paese non sarebbe terminata tanto presto, in breve si sarebbe appesantito il carico fiscale, ma il Governo garantiva che sarebbe stato l'ultimo sforzo. Boschi sorrise. Governo? Ormai l'Italia navigava a vista, non aveva da tempo una persona in grado di guidare il Paese, ogni anno si succedevano presunti “innovatori” che finivano per adeguarsi al malcostume radicato, fatto di interessi personali e disinteresse collettivo. L'ultimo era stato quel comico genovese, in grado di raccogliere consensi ma senza presentare risultati concreti: slogan urlati, manifestazioni fatte di promesse ed impegni che mai sarebbero stati mantenuti... il commissario, voltando pagina, decise che era meglio concentrarsi sull'ottima torta che stava gustando. Sfogliò rapidamente le pagine sportive, si celebrava la vittoria del campionato di calcio da parte di quella squadra della città che aveva appena lasciato, gli avversari promettevano risultati migliori per l'anno a venire e via di questo passo.
Era ora di andare.
Il commissario uscì dalla pensione e salì in auto. Aveva avuto contatti con il commissariato durante i giorni immediatamente precedenti la sua partenza, sapeva che doveva trovarsi sul lungomare, non lontano dal percorso compiuto la sera prima. Imboccò decisamente corso Umberto I in direzione nord, quindi superò il semaforo e girò a destra, ritrovandosi su Viale Europa. Proseguì fino al lungomare, quindi girò a destra in direzione sud; ed ecco che, fatto un centinaio di metri, lo vide.
Il commissariato si trovava al piano terra di un'elegante palazzina a due piani, che ospitava anche la locale sede della Protezione Civile. Il parcheggio era equamente suddiviso: da un lato le auto di servizio, dall'altro fuoristrada, furgoni, carrelli sui quali erano caricati gommoni, mezzi di servizio di vario tipo.
Il commissario parcheggiò l'auto nel posto riservato, scese, si avvicinò alla porta. Evidentemente lo stavano aspettando, poiché ad un tratto gli si avvicinò un uomo abbronzato, capelli molto corti con una sottile sfumatura di grigio, gli occhi sinceri ed un sorriso aperto e cordiale.
“Ben arrivato, commissario. Sono il vicecommissario Luca Palumbo.”
Gli strinse la mano e lo guidò all'interno degli uffici. Agenti giovani, dall'aspetto curato, salutavano il commissario man mano che questi procedeva, quindi tornavano al proprio lavoro. Nessun accenno di curiosità, nessun commento: era solamente arrivato il loro capo, lo attendevano e si fidavano di lui, pur senza conoscerlo.
Palumbo spiegava al commissario l'attività: no, non c'erano mai stati grandi problemi di ordine pubblico, l'unica battaglia costantemente combattuta era quella contro la prostituzione, ma già erano stati ottenuti notevoli risultati. Restavano episodi di controllo del territorio, soprattutto in estate, al momento c'era solamente un caso irrisolto...
Il vicecommissario interruppe il suo racconto. Erano giunti nell'ufficio riservato a Boschi.
Si trattava di una grande stanza luminosa, dotata di vetrate alle pareti che permettevano di vedere il lungomare e la spiaggia. Era tinteggiata in bianco e grigio chiaro, arredata con mobili moderni in acciaio e vetro, librerie in acciaio cromato, scrivania e porta pc dello stesso tipo. Completavano l'arredamento un divanetto a due posti, due poltrone, il tutto in tessuto chiaro, un tavolinetto basso in vetro, un ampio tavolo per riunioni in cristallo fumè dotato di sedie in colore grigio. Un moderno computer portatile ed un ampio televisore a parete completavano l'arredamento.
“Prego, commissario. Si prenda tutto il tempo che vuole per sistemarsi, io l'aspetto di là per un caffè. Il mio ufficio è proprio qui accanto, può raggiungerlo attraverso la porta interna oppure mi può chiamare con l'interfono. A sua disposizione.”
Boschi rimase da solo, nel grande ufficio che profumava di nuovo, di nuova tinteggiatura, di nuovi arredi. In quel preciso momento il commissario rivide, come in un flashback, la sua prima riunione con i colleghi della squadra, le prime operazioni, i primi risultati, l'arresto dei due trafficanti di armi... in quei quattordici anni aveva trascorso una vita, ora si stava preparando alla seconda.
Uscì dall'ufficio e si ripromise di aprire, di lì a poco, gli scatoloni con i suoi oggetti personali. Era ora di metter via i ricordi ed i rimpianti.
Bussò alla porta accanto.
“Avanti.”
Entrò nella stanza, il sorriso sincero di Palumbo lo accolse.
“Commissario, si è sistemato? Venga, le faccio conoscere i componenti dell'ufficio.”
C'era un uomo in borghese, ad occhio e croce coetaneo del commissario, che ispirava simpatia. Strinse la mano al commissario:
“Ispettore capo Renzo Vicari, ai suoi ordini.”
Si intesero a quella prima occhiata, Boschi capì che vi era più di qualche possibilità di allestire una squadra affiatata ed esperta.
Dopo Vicari, il commissario conobbe l'agente Zuccoli, operatore di archivio ed esperto in profili; l'agente scelto Martella, scampato a ben tre conflitti a fuoco; l'agente Grossi, autista. Vi era infine l'agente Menichelli al centralino ed altri tre o quattro agenti dei quali non ricordava il nome. Tutti si dichiararono entusiasti di conoscere il nuovo capo, il quale da parte sua sembrava non ascoltarli, perso dietro chissà quale pensiero.
Se ne tornò in ufficio, aveva gli scatoloni da aprire, i suoi oggetti da sistemare, voleva prendere confidenza con la nuova realtà. In breve la scrivania fu ricoperta di oggetti ed oggettini, che tuttavia ebbero rapidamente il loro posto.
Dopo due ore di spostamenti, modifiche ed aggiustamenti vari, il commissario decise che l'ufficio era pronto per essere usato al meglio. Stava valutando se fare un giro a piedi e provare uno dei tanti ristorantini della zona, quando Palumbo bussò alla porta ed entrò dicendo:
“Commissario, mi sono permesso di invitarla a pranzo. Mia moglie è una cuoca di famiglia, di quelle alla buona. Cose semplici, ma tutte genuine.”
Il commissario non se la sentì di rifiutare. La gentilezza e la disponibilità di Palumbo, il suo sorriso sincero lo convinsero ad accettare.
“D'accordo, dammi solo dieci minuti e sono pronto.”
Uscirono dal commissariato quando mancava poco all'una. L'agente di turno al centralino, un ragazzo sveglio ed in gamba di nome Carelli, diede alcune comunicazioni al vicecommissario; cose senza importanza, se ne sarebbe occupato nel pomeriggio.
Andarono con l'auto di Palumbo, il quale voleva evitare al commissario di addentrarsi in strade e stradine per lui ancora sconosciute. Boschi ebbe così modo di ammirare il paesaggio collinare di quella zona, dove distese di uliveti convivevano pacificamente con i filari di viti, quasi a tenersi compagnia gli uni con gli altri. Era là che nasceva il famoso vino rosso della regione, da quei luoghi si otteneva il celebre olio esportato in tutto il mondo, apprezzato dai grandi cuochi internazionali.
Il commissario si guardava attorno, mentre il suo vice parlava, orgoglioso di descrivere i prodotti della sua regione, gli stessi che di lì a poco avrebbe offerto nella sua casa.
Giunsero dopo circa mezz'ora. Il vicecommissario abitava in collina, lungo la strada provinciale che portava nella zona vestina, ricca di piccoli centri storici ben tenuti, tra uliveti, vigneti e frutteti.
La casa era una villetta a due piani, circondata da un ampio e curato giardino. Scesero con l'auto nel cortile, quindi si fermarono per un po' sotto ad un pergolato, che durante la bella stagione offriva riparo e frescura. Sotto al pergolato trovavano posto un tavolo tondo e quattro sedie di bambù, un barbecue ed una fontana in pietra. Vi era infine un altro oggetto, che catturò l'attenzione di Boschi: si trattava di una vaschetta metallica, una specie di canaletto lungo circa un metro e mezzo, retto da quattro gambe anch'esse di metallo. Il commissario pensò tra sé all'utilizzo che se ne sarebbe potuto fare, poi decise che non era così importante. Magari lo avrebbe capito a suo tempo.
In lontananza, al termine del giardino, si vedevano filari di viti e piante di ulivo, posti in maniera ordinata e regolare. Un piccolo capanno degli attrezzi ed un trattore agricolo completavano la scena.
“Complimenti, è molto bello e ben curato. Te ne occupi tu?”
“Magari, commissario! L'agricoltura è la mia passione, ma il tempo a disposizione è sempre poco. Ho costruito questa casa circa dieci anni fa, comprando un vecchio rudere con il terreno che vede. Mi occupo di queste coltivazioni con l'aiuto di mia moglie e dei miei due figli.”
Come se fossero stati chiamati sulla scena da un invisibile regista, da una porta di servizio uscirono una giovane donna bruna e due ragazzi. La donna, i capelli raccolti in un fermaglio, occhi vivi di un bel colore verde, indossava una tuta e scarpe da ginnastica. Tese la mano al commissario:
“Piacere, commissario. Sono Antonella Palumbo, la moglie di Luca.”
“Piacere mio, signora. Grazie ancora dell'invito.”
Si presentarono i ragazzi, Andrea ed Ettore, quindi tutti entrarono in casa.
Antonella offrì al commissario un pranzo (a suo dire) semplice, formato da prodotti tipici della loro terra. Il primo piatto erano spaghetti alla chitarra, una particolare pasta all'uovo che, spiegò la cuoca, veniva tagliata con un attrezzo costituito da due mensole in legno, tra le quali venivano tese un certo numero di corde di metallo, che ricordavano un po' quelle dello strumento musicale; su queste corde veniva posata la sfoglia, quindi pressata con il mattarello. Le corde, tagliandola, creavano quella particolare pasta lunga.
Il secondo piatto era un classico della cucina casalinga: pollo al forno con patate. Il pollo, spiegò Antonella, veniva dal loro piccolo allevamento ed era stato preparato quella mattina stessa. Venne accompagnato da un contorno di insalata verde e pomodori, provenienti, manco a dirlo, dall'orto di casa. Il commissario mangiava ed ascoltava, divertito ma anche meravigliato dalla semplicità di quei sapori, così diversi dai piatti che preparava la nonna lassù nel Monferrato, eppure così uguali. In fondo, si disse, li accomuna la semplicità che li rende unici.
Ogni piatto veniva accompagnato da generose dosi di vino rosso locale; il commissario, dato che non doveva guidare, si concesse quella libertà, contrariamente al suo vice che, giustamente, preferì limitarsi.
Mentre mangiavano, Boschi ascoltava la piacevole conversazione che si svolgeva a tavola. Seppe così che Andrea, il figlio maggiore del vicecommissario, aveva da poco compiuto i vent'anni ed era studente universitario. Aveva scelto la facoltà di ingegneria, lassù a L'Aquila, per stare vicino al suo capoluogo, così colpito da quel devastante terremoto di pochi anni prima. Ora si stava preparando per gli esami ed era a buon punto, di lì a due settimane avrebbe avuto la prima prova da superare.
Ettore, il figlio minore, stava per conseguire il diploma di scuola superiore. Innamorato della natura e della campagna, presto sarebbe diventato perito agrario. Voleva valorizzare ancor di più i terreni di famiglia, far sì che il lavoro dei genitori potesse diventare la sua unica ragione di vita.
Il commissario non potè fare a meno di notare gli sguardi orgogliosi di mamma Antonella e papà Luca, mentre i loro figli parlavano. Sì, erano davvero due bravi ragazzi.
Venne servita la frutta (“cresciuta sugli alberi qua fuori”, precisò Antonella), quindi una crostata di ciliegie ed il caffè.
Palumbo propose al commissario di godersi il fresco del pergolato, avevano ancora un po' di tempo e l'aria fresca della collina era davvero gradevole.
In quel momento Boschi concentrò nuovamente la sua attenzione su quello strano oggetto a forma di canale visto al momento del suo arrivo. Si decise a chiedere:
“A cosa serve quell'attrezzo?”
Palumbo sorrise, poi chiamò il figlio minore:
“Ettore, spiega al commissario l'utilizzo di questo attrezzo.”
“Vede commissario”, esordì il ragazzo, “nella nostra regione è ancora praticata la pastorizia. La carne di agnello è rinomata, ma i nostri pastori hanno valorizzato anche la carne delle pecore.”
Così dicendo, il ragazzo andò in cantina e prese dal congelatore una manciata di strani spiedini. In una sorta di stuzzicadenti, piuttosto lungo, erano inseriti una serie di dadini di carne, l'uno di seguito all'altro. La parte terminale dello stuzzicadenti era invece libera, quasi volesse costituire una sorta di manico. Boschi guardò lo spiedino sempre più incuriosito, Ettore Palumbo non riuscì a trattenere un sorriso.
“Commissario, questi si chiamano arrosticini e sono un cibo tipico delle nostre zone. Li può trovare in tutte le case del circondario, inoltre in occasione di feste, sagre ed eventi popolari sono venduti da ambulanti in tutte le piazze.”
Quindi si addentrò nella tecnica di cottura.
“L'arrosticino viene cotto sulla fornacella, che è l'attrezzo che lei vede qua. Nella fornacella viene messo del carbone, quando si è formata la brace si pongono gli arrosticini qua sopra, dove vede quelle scanalature. La brace deve essere mantenuta viva mandando aria, gli arrosticini vengono girati continuamente per una cottura uniforme. Una spruzzata di sale e via, sono pronti per essere mangiati. Ma vanno mangiati caldi!”.
Se non avesse consumato quello splendido pranzo offerto dalla famiglia Palumbo, il commissario avrebbe volentieri provato quel cibo semplice e genuino. La descrizione dettagliata del ragazzo gli era sembrata invitante. Si ripromise di sperimentarli nei prossimi giorni.
Era giunta l'ora di tornare in ufficio. Il commissario salutò i ragazzi, ringraziò a lungo Antonella e fu pronto a salire sull'auto del suo vice. Era davvero gente semplice, sincera, alla buona. Gente che non amava le luci della ribalta.
Ci si sarebbe trovato bene, ora ne era sicuro.
Durante il ritorno, Palumbo disse:
“Commissario, spero di averla fatta stare bene. Mi scusi se qualcosa non è stato perfetto, ma siamo gente semplice, alla buona.”
Il commissario, sorridendo, replicò:
“Non sono mai stato così bene, mi avete fatto sentire meglio che a casa mia. Tua moglie ed i tuoi ragazzi sono persone eccezionali. Vorrei chiederti un favore.”
“Se posso, ben volentieri.”
“Ecco, mi hai accolto in ufficio, mi hai accolto in casa tua... lavoreremo fianco a fianco, io spero con buoni risultati. Vorrei che mi dessi del tu e che mi chiamassi Mario. Che ne dici, sei d'accordo? Mi piace pensare che potremo diventare amici.”
“Come vuole, commissario, ehm... d'accordo Mario. Chiamami Luca.”
“Bene Luca, andiamo a vedere che ci aspetta in ufficio. Ma prima ti offro un altro caffè.”
Finirono la conversazione ridendo, lieti di aver abbattuto quella invisibile barriera di ufficialità tra superiore e subordinato. Non c'erano gerarchie, il primo componente della squadra era presente. Il tutto suggellato da un piatto di spaghetti alla chitarra ed un pollo ruspante.
Giunsero in città, quindi si ritrovarono sul lungomare. Boschi aveva scoperto un bar dove servivano un ottimo caffè. Si chiamava “Bar delle Palme” ed era molto accogliente: aveva dei tavolini posti sotto una tettoia in legno, che d'estate dava frescura ai suoi occupanti e d'inverno poteva essere chiusa e riscaldata, trasformandosi in un'ampia e comoda veranda.
Il commissario ed il suo vice presero posto, arrivò un giovane cameriere e prese le ordinazioni: solo due caffè, con evidente sconcerto del ragazzo che sperava in qualcosa di più sostanzioso e chissà, forse in una mancia.
Al rientro in ufficio, il giovane agente Carelli scattò sull'attenti e disse:
“Dottor Palumbo, Zuccoli mi ha trasmesso le foto segnaletiche e la scheda che lei mi aveva chiesto. Commissario, sono arrivati due fax per lei, li ho messi sul suo tavolo.”
“Bravo ragazzo”, commentò Boschi.
“Sì”, replicò Palumbo, “il ragazzo sa il fatto suo, secondo me è un peccato impiegarlo in attività così burocratiche e ripetitive!”.
Boschi sorrise: il giovane agente aveva suscitato in lui la stessa impressione, la squadra si stava delineando, almeno nella sua mente.
Il commissario arrivò in ufficio e trovò i due fax.
Il primo proveniva dalla questura che aveva lasciato, evidentemente il suo vecchio maestro e confidente non se la sentiva di chiamarlo al telefono, l'emozione lo avrebbe sopraffatto.Boschi, mi ha chiamato il dottor Mazzotta. Mi ha ribadito che domani mattina alle undici avrete l'incontro del quale abbiamo parlato. Vuol dire che si comincia sul serio. Non ti nascondo che un misto di gioia e di emozione albergano in me, pur sapendo che siamo così lontani. Fai tesoro di quello che siamo riusciti a trasmetterti quassù, anche noi abbiamo ricevuto tanto da un ragazzo dinamico e motivato come te. Sarò sempre a tua disposizione per qualunque cosa, come quattordici anni fa. Auguri.
Achille Magnani
Il commissario rilesse più volte il fax, cercando di scacciare l'emozione che si stava impadronendo di lui. Il suo maestro, quel vicecommissario oggi questore, non lo avrebbe mai lasciato solo. Anche a centinaia di chilometri di distanza.
Il secondo fax proveniva da Pescara.
Egregio commissario dott. Boschi, la presente per ricordarLe che nella giornata di domani, alle ore 11, il dottor Filippo Mazzotta La attende nel suo ufficio per conferirLe ufficialmente il mandato di Dirigente del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Montesilvano. Data l'ufficialità e l'importanza dell'evento, anche alla luce dei numerosi impegni del Sig. Questore, Le chiedo cortesemente la massima puntualità.
Ossequi.
Dott. Angelo Riti
Capo di GabinettoIl commissario sorrise. Mazzotta voleva conoscerlo in via informale, altro che ufficialità! Mise il fax in un cassetto e chiamò Palumbo, non attraverso l'interfono (che terribili oggetti, tecnologici e freddi), ma semplicemente affacciandosi alla porta intercomunicante.
“Luca, che hai per le mani?”
“Un caso spigoloso, Mario. Un uomo caduto da un palazzo, si è sfracellato. Lo ha trovato il portiere dello stabile, ci ha chiamato e poi è svenuto. Curiosità, il poveretto è stato trovato con un fazzoletto bianco in bocca.”
Boschi si precipitò nell'ufficio accanto.
“Quanto tempo fa è avvenuto?”
“Circa una settimana. Perchè?”
“E' avvenuto in quel palazzo alto, qui sul lungomare, vicino al Bar delle Palme?”
“Esatto. Ma tu come fai a saperlo? Il fatto è accaduto prima che tu arrivassi ed è stato riportato solo nelle pagine di cronaca locale.”
“Si è trattato di un caso. La sera del mio arrivo, dopo cena, sono uscito a fare due passi. Quando sono arrivato sul lungomare, al termine di Viale Europa, ho visto quel palazzo tutto illuminato. Era l'unico e quindi la cosa mi ha incuriosito. Così mi sono avvicinato ed ho visto il nastro rosso ed i sigilli. Ed ora a che punto siamo?”
“Guarda, ci troviamo in una situazione di stallo. Il portiere deve ancora riprendersi dallo shock, il pm ha disposto l'autopsia ma il medico legale è in ferie. C'è carenza di personale.”
“D'accordo, fammi sapere. L'indagine è in mano tua, ma mi farebbe piacere accompagnarti quando sentirai il portiere.”
Boschi tornò nella sua stanza. Squillò il telefono.
“Pronto.”
“Commissario, sono Carelli. Ho in linea il dottor Riti, il capo di gabinetto della questura, per lei.”
“Va bene, passamelo.”
“Pronto.”
Una voce acuta e cadenzata giunse alle orecchie del commissario. Doveva trattarsi di una persona con un passato di cantante nei cori di voci bianche.
“Commissario Boschi? Molto piacere, sono il Dottor Angelo Riti, Capo di Gabinetto della Questura di Pescara.”
Il dottor Riti ci teneva a sottolineare soprattutto le maiuscole, rendendo ancor più stridula e cadenzata la sua voce bianca. Il commissario immaginò un ometto piccolo e tondo, vestito in giacca e cravatta, occhiali minuscoli cerchiati d'oro, la testa senza un capello. Di lì a poco avrebbe avuto la conferma o meno a questa sua ipotesi.
“Mi dica, Dottor Riti.”
Boschi ricambiava il favore, enfatizzando ancor di più le lettere maiuscole. L'ometto sarebbe stato sicuramente soddisfatto di questo trattamento.
“Ecco, in primo luogo volevo raccomandarle l'assoluta puntualità nell'incontro di domattina. Sa, il signor questore ci tiene molto ed è oberato di impegni.”
“Non dubiti Dottore, sarò puntualissimo.”
“Bene, bene. In secondo luogo, mi sono permesso di anticiparle alcune incombenze. Tra pochi minuti la raggiungerà un nostro agente, con l'incarico di consegnarle alcuni formulari e questionari che dovrà consegnarci domattina al termine dell'incontro.”
“La ringrazio Dottore. Domani al mio arrivo troverà tutto pronto.”
Lo disse senza particolare entusiasmo. Boschi era uomo d'azione, di strategia sul campo. Compiere lavoro burocratico, come da sempre lo chiamava, lo faceva sentire come un cane legato alla catena.
L'agente arrivò poco dopo; improvvisamente la scrivania del commissario fu sommersa di pacchi di moduli, che in parte trovarono posto anche sul grande tavolo delle riunioni. Il commissario tirò un sospiro e cominciò ad aprirli, uno per uno. Alle sue spalle, appoggiato allo stipite della porta di comunicazione tra i due uffici, Palumbo lo guardava divertito.
“Benvenuto tra i burocrati.”
Boschi non rispose e cominciò a riempire caselle, apporre date e firme.
Uscirono dall'ufficio alle otto. Il cielo era ancora chiaro e l'aria mite, ma il commissario preferì mettersi in auto e tornare alla pensione. Aveva bisogno di una salutare doccia prima di scendere a cena.
Quella sera la cuoca Tiziana aveva deciso di dedicare tutta la sua attenzione alla cottura sulla brace. Il commissario mangiò un arrosto misto, accompagnato da una insalatina verde, il tutto annaffiato con un ottimo Pinot Chardonnay delle Terre di Chieti.
Si fermò ad esaminare l'etichetta sulla bottiglia. Chieti era sicuramente una città del circondario, un giorno sarebbe andato a visitarla. D'altronde era bene conoscere il territorio, per potersi muovere in perfetta autonomia.
Mentre era immerso nei suoi pensieri, il commissario si sentì sfiorare una spalla.
“Commissario, come ha trovato la cena?”
Era la cuoca Tiziana. La ragazza si era cambiata, non indossava il solito completo bianco, ma un paio di sottili jeans che le fasciavano le gambe perfette. Una maglietta in cotone con una scollatura audace ed un paio di scarpe sportive bianche completavano l'abbigliamento. I capelli le arrivavano sulle spalle, aveva un sorriso disarmante.
“Ottima, davvero. Ti faccio i miei complimenti.”
“Grazie. Stasera ho finito prima perchè Maria, la ragazza che mi aiuta in cucina, ha tutta la sera libera da impegni di famiglia. Siamo amiche, mi ha invitato lei a prendermi qualche ora di riposo. Mi piacerebbe provare il primo gelato della stagione, al bar Albatros. Si trova sul lungomare, tra Viale Europa ed il Bar delle Palme. Lo conosce?”
“Sì, l'ho notato.”
“Perfetto. Le andrebbe di accompagnarmi?”
Il commissario non se la sentì di rifiutare. Da sempre rifuggiva i legami affettivi, forse per via di quel lavoro che tanto lo assorbiva. Tuttavia la ragazza gli aveva solo chiesto di accompagnarla a gustare un gelato. Non ci sarebbero state implicazioni di altro tipo, pensò il commissario.
“Ma certo.”
Gli occhi della ragazza si illuminarono di gioia:
“Perfetto, vado a prendere la giacca.”
La giacca era in realtà un piccolo coprispalle, che metteva in risalto ancor di più il fisico perfetto della ragazza e soprattutto l'audace scollatura. Boschi preferì non notarlo ed uscirono nella tiepida sera di inizio estate.
“Commissario, nello scorso mese di marzo ho compiuto ventotto anni. Porto avanti la pensione con la mamma, mio padre è morto quando avevo ventidue anni, fino ad allora si occupavano lui e la mamma di tutto. Io studiavo farmacia a Chieti, mi piaceva ed avevo un buon rendimento. Quando la mamma è rimasta sola mi sono resa conto che non avrebbe potuto farcela, così ho rinunciato alla carriera universitaria per aiutarla a tempo pieno. Mi piace cucinare, molti segreti li ho appresi da lei. La mamma vorrebbe vedermi sposata, sistemata, ma ora non posso. C'è troppo lavoro e comunque non ho ancora trovato la persona giusta.”
Il commissario ascoltava affascinato. Quella ragazza aveva dimostrato una grande determinazione, scegliendo di rinunciare ai suoi sogni ed alla sua carriera per occuparsi dell'attività di famiglia. I suoi genitori avevano fatto tanti sacrifici per aprire la pensione, mai e poi mai sarebbe dovuta andare in mano ad altri.
“Tiziana, sei giovane e spigliata, carina. Chissà quanti corteggiatori avrai attorno!”
Avevano raggiunto la gelateria, il commissario ordinò e pagò due coppe alla frutta, si sedettero. La ragazza continuò:
“Corteggiatori? Mi creda commissario, hanno tutti troppi grilli per la testa. Mi invitano ad uscire, ma non amano parlare, conoscersi, fare una passeggiata. Tutti vanno dritti allo scopo, poi quando si accorgono di non poter ottenere nulla, se ne vanno. Troppo immaturi.”
Il commissario proseguì la conversazione, era un piacere dialogare con quella ragazza così chiara e sincera. Sembrava non avere segreti.
“E come dovrebbe essere il tuo uomo ideale?”
Finirono i loro gelati. La ragazza allontanò la coppa ormai vuota, prese le mani del commissario e gli disse:
“Come... come... come lei.”
Stava giocando a carte scoperte. Boschi la guardò intensamente e le disse:
“Tiziana, io ho sempre cercato di evitare i legami stabili. Faccio un lavoro che mi porta da un posto all'altro, ad alto rischio. Per questo motivo non ho mai voluto crearmi una famiglia. Tu hai perso tuo padre sei anni fa, io ho perso entrambi i miei genitori quando avevo sedici anni. Un pirata della strada ha colpito la nostra auto, stava scappando da un inseguimento dei miei colleghi. Mio padre e mia madre sono morti sul colpo, io sono stato sbalzato fuori dall'auto, finendo in una scarpata. Sono stato sei mesi al CTO di Torino, mi hanno assistito i miei zii, ho fatto una lunga riabilitazione. Da quel momento ho deciso di arruolarmi, non volevo che altre famiglie potessero essere distrutte. E questo pensiero, insieme agli altri motivi che ti ho detto, mi ha impedito di avere una donna.”
Lo disse senza emozione nella voce, dopo vent'anni il dolore non si cancella, ma rimane nell'animo. E ci si convive.
Durante tutto il racconto, Tiziana gli aveva tenuto le mani strette nelle sue, ogni tanto asciugandosi qualche lacrima. Si alzarono per tornare alla pensione, la ragazza gli si mise sottobraccio e non lo lasciò più fino al portone.